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Quarantaduemila cattedre in meno da settembre 2009


Scuola, ecco i tagli: meno 37mila docenti in tutta Italia. E’ solo la prima tranche.

Ormai è una certezza. Quarantaduemila cattedre in meno dal settembre 2009: un primo taglio di 37mila deciso ieri. E un altro da 5000 posti che sarà definito nel luglio prossimo. Il 40 per cento concentrato in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, il 50% nel Sud. Ma anche in Lombardia, malgrado le rassicurazioni del presidente Formigoni, il salasso sarà pesante: meno 4 mila. Via anche 245 presidi. A pagare il prezzo più alto le secondarie di primo grado, vale a dire le medie inferiori, con un taglio di oltre 15 mila cattedre. I numeri, allegati al decreto interministeriale presentato alle organizzazioni sindacali e agli enti locali, hanno scatenato dure reazioni. «È inaccettabile che si riduca il personale docente di oltre 42 mila unità — commenta il segretario della Cgil Mimmo Pantaleo — colpendo in maniera pesantissima il sud. È un attacco senza precedenti al diritto allo studio e alla qualità dell’istruzione pubblica». Critico anche il segretario della Uil Massimo Di Menna: «Non dimentichiamo i 15 mila lavoratori non docenti che perderanno il posto di lavoro, il che assieme al taglio degli insegnanti, al netto dei pensionamenti, si traduce in 28 mila precari che rischiano di essere tagliati fuori dalla scuola pubblica ». Insorge anche il Partito Democratico. «Questi non sono tagli, è una devastazione inattuabile — afferma Mariangela Bastico, viceministro all’Istruzione con Fioroni e responsabile scuola del Pd — chiediamo al governo di fermarsi perché i parametri scelti per decidere i tagli sono oscuri e non è vero che massacrano solo le Regioni del Sud. Tutto è stato deciso a Roma senza un confronto con le Regioni, un metodo incoerente con il tanto sbandierato federalismo del governo». Ma cosa succederà all’apertura del prossimo anno scolastico? Diecimila docenti in meno alle elementari, più di 11 mila alle su- Dal settembre 2009 ulteriore riduzione di 5000 cattedre “Salasso” anche in Lombardia periori e quasi 16 mila alle medie inferiori: i 37mila della prima tranche, in attesa a luglio dell’ ulteriore taglio di 5 mila cattedre (quasi esclusivamente affidate a precarie). Che fine farà il tempo pieno alle elementari? Il governo e il ministro Gelmini hanno assicurato che dove c’è non verrà toccato. Diamo per buono questo impegno. Il problema nasce nelle Regioni del Sud, dove molte famiglie hanno chiesto per il prossimo anno le 40 ore a settimana. Per loro non c’è alcuna speranza. A rischio anche le iscrizioni per le famiglie che hanno scelto le 30 ore. Il decreto parla chiaro: solo nei casi in cui l’organico lo permette. Con l’aria che tira sembra davvero una chimera. Ma il ministero della Pubblica Istruzione lascia aperto uno spiraglio: le richieste delle 30 ore a settimana potranno essere coperte con la compresenza dei prof di religione e di quelli d’inglese. Peccato che tra i tagli siano previsti 2 mila docenti in meno proprio in quella lingua straniera. Ma chi permetterà il “potenziamento” dell’inglese, come previsto dal decreto? Da mesi sono previsti corsi “fantasma” di 150 ore per le maestre che volessero cimentarsi in quella materia. Però nessuno sa che fine abbiano fatto. Ma la mannaia si abbatterà soprattutto sulle medie inferiori (o secondaria di primo grado). Il taglio da 11 a 9 ore settimanali delle ore di lettere è già cosa fatta. Una scelta assai opinabile, viste le carenze degli studenti italiani nella comprensione della propria lingua. A questo si aggiungono le due ore in meno per le materie tecnologiche. Un’altra trovata geniale. E infine la ciliegina sulla torta. L’aumento del numero massimo e minimo di alunni per classe sembrava congelato. Invece riappare. Ecco alcuni esempi. Scuola materna: minimo 18, massimo 26 con possibilità di arrivare a 29. Elementari: minimo 15 studenti, massimo 27. Media inferiore: da 18 a ventotto. Superiori: mai meno di 27 studenti fino ad un massimo di 30. Una boccata d’ossigeno per agevolare il rapporto tra professori e studenti. Mario Reggio

(fonte: la Repubblica del 25 marzo 2009)

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