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Bocciati i tagli della Gelmini la Consulta: riforma illegittima

Dopo il Tar del Lazio, anche la Corte Costituzionale boccia un pezzo della Riforma Gelmini.

Con l’attesissima sentenza depositata ieri in tarda serata, l’ Alta Corte ha ricusato i provvedimenti del governo sull’accorpamento degli istituti e la chiusura delle miniscuole. I giudici della Consulta ritengono che la gestione della rete scolastica sia di competenza delle Regioni e hanno, quindi, bocciato due punti dell’ articolo 64 del decreto legge 112 del mese di giugno del 2008: la cosiddetta Finanziaria estiva predisposta dall’ esecutivo, che dà al ministro dell’ istruzione Mariastella Gelmini la possibilità di riformare l’ intero sistema formativo italiano con una serie di Regolamenti ministeriali. Sono due i punti contestati dai giudici costituzionali: la definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per dimensionare la rete scolastica e l’attribuzione anche allo Stato (e non soltanto alle Regioni e agli enti locali) delle misure necessarie a ridurre i disagi causati dalla chiusura o accorpamento di scuole nei piccoli comuni. "È una vittoria delle Regioni – commenta a caldo Mariangela Bastico, responsabile scuola per il Partito democratico – che hanno il riconoscimento pieno della loro competenza in materia di rete scolastica. La Gelmini, tanto per intenderci, non può chiudere scuole – continua la Bastico – con un regolamento». Ma il ministro la pensa diversamente. «Posto che è stata riconosciuta la legittimità costituzionale dell’ impianto complessivo della riforma, va precisato che a proposito delle due disposizioni di cui è stata affermata l’ incostituzionalità – ha osservato il ministro – nessuno dei provvedimenti attuativi dell’ articolo 64 si fonda su di esse». «Per questo – ha concluso la Gelmini – i punti giudicati incostituzionali sono da ritenersi marginali e da tempo superati». In sostanza, pare di capire, il taglio di 133 mila posti in tre anni colpirà ugualmente la scuola italiana. Sulla chiusura delle scuole nei piccoli comuni, meno di un anno fa (ad ottobre del 2008) regioni e governo andarono allo scontro: allorché, con una norma introdotta alla chetichella in un decreto legge sulla sanità, l’ esecutivo esautorava le regioni inadempienti in tema di accorpamento e chiusura di piccoli plessi. Anche perché nel 2001 la riforma del titolo quinto della Costituzione riscrisse l’ articolo 117, affidando allo Stato la competenza esclusiva su norme di carattere generale ma affidando, come materia di legislazione concorrente, l’ Istruzione alle regioni. In quella occasione, il governo fu costretto ad una clamorosa marcia indietro e in sede di conversione del decreto legge (a dicembre 2008) alleggerì i toni del provvedimento, che venne comunque mantenuto. Così, otto regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia) si rivolsero alla Corte costituzionale che ieri ha detto la parola fine: la rete scolastica è di competenza regionale. Che fine farà il regolamento sulla rete scolastica pubblicato in gazzetta proprio due giorni fa? Avrà ripercussioni, anche politiche, sulla riforma della scuola messa in cantiere dal governo. Intanto, dopo il dietro front sull’ Inglese potenziato alla scuola media – bocciato dal Tar Lazio – i sindacati contestano gli ulteriori tagli agli organici. Tagli che a settembre priveranno le scuole di 57 mila unità di personale. «Anche la Corte si è resa conto che questa riforma ubbidisce soltanto alla logica dei numeri», chiosa Francesco Scrima, leader della Cisl scuola. Salvo Intravia

(fonte: la Repubblica del 3 luglio 2009)

 

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