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“Confessioni di una mamma pericolosa”

Intervista a Silvia Colombo, critica cinematografica, educatrice, mamma doppia e autrice del libro "Confessioni di una mamma pericolosa" pubblicato da Fazi Editore.

Oltre centosessanta pagine dense di incidenti di percorso, errori, crisi di rabbia e di pianto: nel suo libro, Silvia Colombo si districa eroicamente tra disavventure e consigli pratici di neo mamma, moderna ma anche leggermente "pericolosa". Così si auto definisce lei, un po’ ironicamente e un po’ tragicamente. L’agenda delle mamme l’ha intervistata, sia per capire quanto sia reale questa altalena di di stati d’animo che rende una neo mamma ora  euforica ora depressa, sia per avere un’idea di come si possa arrivare preparate all’avvento del mamy blues affinché non si trasformi in una più grave depressione post-partum.

ADM –  "Confessioni di una mamma pericolosa" è un vero e proprio romanzo di formazione: parti da una situazione autobiografica di neo-mamma di due gemelle, totalmente disorientata – praticamente sull’orlo di una crisi di nervi – e alla fine del libro sei una mamma organizzata, con strategie e idee ben chiare su cosa fare e cosa non fare per sopravvivere dignitosamente alla maternità. Sono tutti "mali necessari", esperienze che ogni mamma deve per forza provare sulla propria pelle oppure, con qualche aiuto in più, avresti potuto evitare qualcuna delle fasi stremanti che descrivi nella prima parte del libro?

SC – Penso che un certo grado di confusione, incertezza, spaesamento, fatica e stanchezza siano inevitabili e anche necessari: ogni mamma deve trovare una propria strada, un suo modo di essere mamma, un suo modo di organizzare la giornata e anche un suo modo di stare con il proprio bambino. Ed è un percorso che si fa piano piano, sbagliando e correggendosi, attraversando la fase difficile dei primi mesi dopo la nascita. Detto questo penso che la neomamma debba avere sicuramente un aiuto, deve essere “aiutata” a riposarsi, a dormire la notte, nelle cose pratiche di ogni giorno. E soprattutto non deve essere lasciata sola, questa è la cosa più importante.

ADM – Quanto contano i consigli degli altri e quanto conta invece seguire il proprio istinto naturale di madre?

SC – Non penso che ci sia un istinto naturale di madre. Ogni donna è quella che è: quando nasce un bambino ogni mamma è “costretta”a imparare un sacco di cose, a fare cose che non aveva mai fatto prima. E impara col tempo ad essere anche madre. Con questo non voglio dire che le donne cambiano quando hanno un figlio: rimangono sé stesse, ma arricchiscono la propria personalità, diventano “di più”. Per quel che riguarda i consigli degli altri dovremmo imparare ad avere molta fiducia in noi stesse perché spesso i consigli degli “altri” (giornali, tv, pediatri, espertoni, parenti vari ecc. ecc.) servono solo a farci sentire inadeguate per come siamo, in colpa per quello che non facciamo, in ansia per quello che potrebbe accadere. La sicurezza in noi stesse è la qualità più grande e necessaria di ogni mamma.

ADM – Accanto a te, nel libro, compare la figura di tuo marito: paziente, discreto, rispettoso dei tuoi stati d’animo altalenanti e "pericolosi". E’ così che appare quest’uomo. La maternità può mettere a durissima prova la coppia, bisogna essere complici e reciprocamente comprensivi per uscirne vivi…quando però si raggiunge insieme un po’ di equilibrio nel nuovo assetto familiare è una grande soddisfazione, vero?

SC – Sicuramente. E anche questo nuovo equilibrio con il partner è una grande conquista che arriva col tempo e con il lavoro. Per certi versi bisogna “riconquistarsi” a vicenda e ri-innamorarsi di una persona che dopo la maternità (e la paternità) si ritrova un po’ cambiata, un po’ diversa. Per quel che mi riguarda ho sempre pensato che ritagliarsi degli spazi e del tempo per la coppia sia una cosa necessaria. Penso che gli adulti abbiano il sacrosanto diritto di avere del tempo per loro, senza i bambini.

ADM – Ti sei mai davvero sentita una mamma "pericolosa"?

SC – Sì. Dopo la nascita delle gemelle ho dovuto fare i conti con tutti gli aspetti negativi del mio carattere. Lo stress, la stanchezza, la mancanza di sonno e la privazione della mia libertà portavano alla luce una violenza e una rabbia che forse avevo già dentro ma con cui non avevo fatto i conti. Era una rabbia che dirigevo verso di me, verso mio marito e anche verso le bambine. Certe volte avevo reazioni che mi spaventavano e che controllavo a fatica. Le madri sole, stanche e disorganizzate diventano delle madri pericolose. E io lo sono stata.

ADM –  "Non bisogna avere paura del pianto dei propri figli" è una delle frasi più veritiere del libro: in apparenza è una cosa scontata, ma di fatto non lo è. Il pianto del proprio bambino nei primi mesi di vita è davvero una lingua sconosciuta e ancora tutta da decifrare, può fare davvero molta paura. Prova ne è che andando al pronto soccorso pediatrico di notte, si trovano parecchie coppie di genitori che sono lì per lo stesso motivo: il bimbo piange e nessuno capisce il perché. Tu hai mai fatto una corsa al pronto soccorso in piena notte per un pianto che non capivi?

SC – Devo fare una distinzione. Una cosa è il pianto del bambino malato. A me non è mai capitato di andare al pronto soccorso perché non capivo il motivo del pianto, ma se un bambino è malato capisco che ci possa stare la corsa all’ospedale. Un’altra cosa è il pianto del bambino che fa i capricci. In questo caso ho imparato a dirmi una cosa molto semplice: sono solo capricci, prima o poi smetterà. Una volta decisa una regola – da dare al bambino – secondo me non si può soprassedere solo perché nostro il bambino strepita e si dispera. L’educazione è un fatto di coerenza. E di scelte. Non bisogna aver paura delle sue reazioni negative. Aver paura delle reazioni negative del proprio figlio è la cosa peggiore che possa capitare.

ADM .  Il bello di questo libro è che è assolutamente fedele alla realtà, sfata finalmente i luoghi comuni che descrivono la nascita del primo figlio come un evento solo ed esclusivamente gioioso, senza ombre e senza paure. Dice le cose come stanno, almeno il più delle volte, soprattutto quando nasce il primo figlio. Tuttavia, per chi non ha ancora avuto un figlio, è difficile capire cosa si prova quando si è stanche, non si dorme la notte, si brancola totalmente nel buio di fronte alle incomprensibili richieste di un bambino che non parla la nostra lingua. Di solito la mamma in attesa che ha solo aspettative rosee dalla nascita del suo pargolo nuovo di zecca tende a liquidare le esperienze come la tua con un "A me non succederà…". Forse è anche il giusto atteggiamento, però non credi che sarebbe giusto dare più rilevanza al rischio di incorrere nel mamy blues, ad esempio parlandone in modo approfondito durante i corsi pre-parto?

SC – L’immagine della maternità propagandata da tutti i media, e da molte delle persone che ci circondano, è totalmente falsa. E dannosa. L’idea della mamma sempre bella, fresca, risposata, serena, che ama il proprio pargolo in un universo in cui tutto funziona, non può che fare male. Innanzitutto perché nel momento in cui una neomamma si accorge di non essere all’altezza delle aspettative sociali non può che dare la colpa a sé stessa e sentirsi profondamente inadeguata. Bisogna dire le cose come stanno senza nascondere il fatto che la maternità, come tutte le esperienze profonde, porta con sé sensazioni e sentimenti contradditori. Poi in realtà la società dovrebbe mettere le famiglie nelle condizioni di vivere serenamente la nascita di un figlio. E parlo di cose molto pratiche: le neomamma dovrebbero poter contare su un aiuto in casa (i nonni, il marito, la tata ecc. ecc.), dovrebbero poter uscire di casa con facilità, poter contare su una rete di relazioni che non le lasci sole con il proprio bambino, dovrebbero esserci più asili nido, più occasioni per incontrare altre mamme o le amiche. Il mamy blues è uno stato che ha delle cause fisiologiche – dovute allo sconvolgimento ormonale in seguito al parto e all’allattamento – ma che si aggrava per cause esterne: la stanchezza, la mancanza di sonno, la sensazione di essere sole. Su queste cause esterne bisogna agire con prontezza e non farsi trovare impreparate.

ADM – Le amiche sono fondamentali per rompere l’isolamento e sdrammatizzare le situazioni che si presentano con le sembianze di problemi insormontabili. Però non sempre si ha la fortuna di averle vicine e che possano capire lo stato d’animo di una neo-mamma. Tu hai potuto contare su qualcuno al di fuori dei familiari?

SC – Purtroppo la vicinanza delle amiche è stata solo “morale”. Sono diventata mamma quando nessuna delle mie amiche lo era ancora e purtroppo questa fatto ha pesato molto. Gli orari e i ritmi tra chi lavora (parlo in una città come milano) e chi sta a casa con un bambino piccolo sono molto diversi, non si incrociano mai. Le mie amiche hanno fatto il possibile e mi sono state spiritualmente vicine. Ho invece avuto un grosso aiuto pratico da parte dei nonni.

ADM – Per chi hai scritto questo libro? Lo hai scritto pensando che, mettendo su carta la tua esperienza, avresti potuto essere d’aiuto a qualcuno?

SC – L’ho scritto in primo luogo per me stessa. Vedevo intorno a me un sacco di cose che mi facevano arrabbiare. In primo luogo questo atteggiamento, molto diffuso: il bambino è tutto (e tutto si deve fare per  il bambino) e la mamma è niente (la madre deve solo accudire e  fare qualsiasi cosa per il benessere e per accontentare il proprio pargolo). Ho scritto così per incanalare la mia rabbia e per dire che sono le madri, a dover tornare al centro dell’attenzione. Le madri quelle reali, non l’immagine materna edulcorata e falsa che ci propinano ogni santo giorno. Così ho scritto questo libro per sopravvivere alla mia rabbia. Poi, certo, spero che possa essere utile a qualcuno.

ADM – In un delle ultime pagine del libro dici che trovi molto vero il detto "Quando nasce un bambino nasce anche una mamma" e dici anche "Educare i nostri figli significa prima di tutto educare noi stessi. Questa è la grande fatica. Mai lasciar perdere". Quindi, al di là delle difficoltà, diventare madre ti ha reso una persona migliore, più completa?  Ne vale la pena, no?

SC – Certo, ne vale la pena. Diventare madri ti mette di fronte alle tue debolezze, ai tuoi limiti, ti fa toccare con mano quello che sei, ma anche ciò che puoi diventare. Con la nascita del proprio bambino si nasce una seconda volta e in qualche modo si è “due” persone. La donna che si era prima e quella che si diventa con la maternità. Sono due donne che devono imparare a convivere, l’una non deve abbandonare l’altra, non ci si deve dimenticare di quelle che si era e nello stesso tempo accettare i cambiamenti. E’ sicuramente un arricchimento. Faticoso, ma bello. Io ho imparato tante cose. Su me stessa e su gli altri.

ADM – Un’ultima curiosità: come hanno reagito le nonne alle tue descrizioni taglienti? L’hanno presa bene?

SC – Beh, ho fatto un grande lavoro di preparazione. Ho detto loro che i personaggi del libro non erano “veramente” loro, ma una sorta di caricatura. Ho detto che avevo ingigantito i loro difetti e le loro caratteristiche per necessità comiche.Ho ripetuto cento volte che senza di loro non ce l’avrei mai fatta, le ho ringraziate in tutte le lingue del mondo…. Insomma, ho fatto di tutto. E devo dire che loro l’hanno presa con spirito, sono state molto carine… meno male. Ho davvero rischiato grosso!

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