Il diario

Diverso è bello

Quando andavo alla scuola elementare avevo un’amica – anzi mia mamma aveva un’amica e questa bambina era sua figlia e mia coetanea – che era diversa da tutte le altre.

A vederla non le avresti dato una cicca: magra, diafana, con i capelli rossi e, all’apparenza, nemmeno troppo sveglia.

Mentre le altre mie compagne si vestivano moderne, alcune proprio alla moda, lei si vestiva come mia nonna bambina nei primi del ‘900.

Io stavo nel mezzo. Non ero super moderna ma nemmeno così. Diciamo che mi ero più fermata agli anni ’60-’70. Ai miei piaceva così.

Comunque. Questa bambina, figlia di due bravi professori, abitava in campagna e andare a casa sua era come fare un viaggio nel tempo. Strano. In avanti e all’indietro.

All’indietro perché la sua casa era una vera cascina rustica con un grandissimo fascino d’altri tempi. In avanti perché la mia amica, a dispetto delle apparenze, era un genio della matematica, un’appassionata di Asimov, e anche l’autrice di libri in stile Asimov che ad Asimov avevano giusto da invidiare la fama dell’autore. Questa bambina scriveva romanzi di fantascienza, veri e propri.

I giochi che si facevano a casa sua li conduceva lei ed erano tutti in un tempo indefinito popolato di umani e di robot. Io mi lasciavo guidare e quando riemergevo nella realtà, l’unico rimpianto che avevo era quello di non avere una fantasia e una cultura così straordinarie.

Adesso la mia amica, dopo aver fatto la Normale di Pisa, è diventata una scienziata in non so quale centro europeo. Uno sbocco naturale.

Se parlo di questa amica è perché ieri sera, che avevo un’amica di A la grande a cena, pensavo a quanto sia importante la diversità.

Non c’è bisogno di allinearsi. Anzi, sarebbe un peccato.

Quando le amiche delle minuscole vengono da noi sanno che trovano un certo tipo di ambiente: tv mai accesa, alcune regole fisse, niente wii e libertà assoluta di inventare giochi e usare quelli che ci sono nelle rispettive camerette. Di sicuro, trovano una buona merenda, quasi sempre fatta in casa. E di sicuro trovano musica e quindi, spesso e volentieri, ballano.

Dalle altre amiche è un’altra storia. Ognuna ha la sua. In ogni casa un tipo di ambiente e un tipo di gioco: qualcuno ha degli animali, qualcun altro, in estate, significa piscina e tuffi, qualcun altro ancora, in qualunque stagione, significa wii. Poi c’è chi non ha regole e chi per la merenda ha l’armadietto delle merendine con libero pescaggio, anche a ripetizione compulsiva. Una manna dal cielo per ogni bambino.

Ma va bene così, se c’è un buon giro di amicizie e tanta varietà. E’ nella ricchezza della diversità che oguno trova il proprio personale equilibrio.

sabato 19 aprile 2014 Isabella ha scritto:

Leggendo queste considerazioni mi viene in mente la frase-celebrazione di R. Williams nel film Attimo fuggente: "Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose sempre da angolazioni diverse". L’esperienza formativa di ciascuno di noi è costantemente attraversata e costellata da continue presenze dell’ALTRO. Le relazioni interpersonali sono di fatto una "galleria di volti" che irrompono nel nostro spazio vitale e ai quali rispondiamo in forme differenti e a ciascuno, a suo modo, in forma singolare. Entrare in relazione con l’altro innegabilmente vuoi dire entrare in contatto con un’altra identità, cioè con qualcuno che è "diverso" da me. E attraverso questo gesto, oltre a sviluppare maggiore coscienza della mia identità, io posso diventare più ricco, dell’alterità riconosciuta. Eppure a volte, a livello sociale (ed anche educativo) si cerca di annullare la "diversità" che ci rende tutti così meravigliosamente unici, si tende a lavorare più sul collettivo che sull’individuo, a creare universi omologati, comunità di simili dove il singolo si deve identificare con il gruppo e la pluralità dei soggetti non sempre viene rispettata. Così l’"alterità" e la "diversità" vengono attribuite non a ciascun individuo in quanto essere differente da un altro, ma solo ad alcuni che presentano "particolari caratteristiche" che li rendono dissimili rispetto all’omologazione dei gruppo. Ed è proprio per questo che la presenza dei cosiddetto "diverso" nella società come a scuola genera conflitti, mette in crisi il normale funzionamento dei sistema e condiziona in modo forte la formazione e la crescita dei singoli, tanto più se si tratta di bambini e/o adolescenti. Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l’incontro con l’altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l’educazione diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze.

sabato 19 aprile 2014 Marta ha scritto: è verissimo…l’educazione all’alterità andrebbe insegnata in ogni scuola e in ogni famiglia.

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