Il diario

Valentì

Valentì

Roma, 18 aprile 2018 – Se una persona decide di disturbare il tuo sonno a occhi aperti con conversazioni private in metropolitana, minimo deve avere una storia interessante da raccontare. Di quelle che visto che sei obbligato a sentirla almeno ti mette in moto la fantasia. Viviana ce l’aveva.

"so’ Viviana, Valentì"

"…"

"eh, sì, so’ io"

"…"

"ma che??? ma vaaaa"

"…"

"se io t’amo? eh ssì ma che voi dì?"

"…"

"ehnno dai, non  rompe così"

"…"

"Valentìii”, eh sì che t’amo, su"

"…"

"massì massì. ah Valentino, guarda che adesso me ne devo annà, sto alla fermata mia, guarda che devo scende"

"…"

"ciao cià Valentì"

Non è vero che è scesa. Viviana non è scesa alla fermata sua. Però Valentì stava diventando insistente con questa cosa del "mi ami?" e dei sospetti che aveva. Perché si capiva che lui aveva dei sospetti e chiedeva conto. Magari si sono appena conosciuti, magari invece stanno insieme da una vita. Ci ho pensato, a come poteva essere la loro storia. Poi sono arrivata a Termini. E mentre cercavo il modo di rimettermi addosso trolley, computer, borsa e sacca, mi è suonato il telefono. "Casa", le due minuscole. Volevano sapere dov’ero e a che ora sarei arrivata. Fortuna che per me non era Valentì.

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