Il diario

Cruelty free (o delle cose d’oro)

Da due settimane casa B ha adottato un cavietto peruviano maschio di cinque mesi, che si chiamava Bonny e ora si chiama Pepe. E’ arrivato – quando ancora non era completamente superato il lutto per la cara Luna, prematuramente e drammaticamente scomparsa – tramite una meritevole associazione che si occupa di recuperare animali esotici abbandonati (è un’altra strage silenziosa, questa, lo sapevate?). Agli adottanti, questa associazione, fa promettere che non faranno riprodurre i trovatelli che adottano. Saggiamente. Perché un conto è salvare quelli che già ci sono, un conto è ostinarsi nella loro riproduzione.

Ma tant’è. Il punto non era (o, almeno, non solo) questo.

Il punto è che, pur essendo sempre stata animalista e sensibile alle sofferenze altrui, umane e animali in generale, la Mamma ora si trova in uno stato di totale empatia con il genere “cavia porcellus” e simili, tale da impedirle di sopportare l’idea della sperimentazione sugli animali. Prima era un ideale di principio, ora il “cruelty free” è un ideale di fatto.

E così tutto ciò che è cosmetico, da questo momento in poi, in casa B, sarà “cruelty free”. E molto più costoso di conseguenza.

Esempio. Mentre le due A erano a danza, questa sera, la Mamma si è avventurata nel mondo “totally cruelty free” dell’Erbolario ed è uscita dal negozio con un’acqua micellare d’oro. Costo: euro 18,90. Ma è “cruelty free”, quindi va benissimo.

Però le due A sono state avvertite. Chiunque sprecherà, sperpererà, sgocciolerà, sbaglierà, anche una sola gocciolina di quell’acqua micellare reale e amica degli animali, verrà pubblicamente esposto alla gogna della piazza di Komfusenbo*.

(*citazione colta da “Peter e Petra” di Astrid Lindgren, Iperborea)