Il diario

Tempi d’attesa

C’è voluta un’estate intera perché mi accorgessi che siamo invasi dalla tecnologia. E che scoperta. Ma non solo noi adulti – che la usiamo anche legittimamente, spesso per fare lavori che in altri tempi non sarebbero stati nemmeno possibili – ma anche i bambini. E i bambini, della tecnologia, non ne avrebbero così tanto bisogno. Pensatelo pure. "Sei una retrograda". Invece no, non lo sono. Sono una che basa almeno l’85% del suo lavoro sulle nuove tecnologie, e ne riconosco il fascino, l’utilità e le potenzialità. Dico solo che con i bambini, la gestione delle tecnologie, quando intorno tutto è permesso e normale, diventa una fatica vera. Fatica perché quando una come me ha due figlie di (quasi) 8 e 10 anni, non si pone nemmeno il problema di dotarle delle stesse tecnologie che usa lei, che è adulta. Per esempio Whatsapp. Io lo uso e anche intensamente, ma non penso che alle mie figlie, per adesso, possa in qualche modo essere utile. Penso se mai che i bambini devono avere e fare cose diverse rispetto agli adulti. Non che in casa nostra i tablet manchino, ma l’accesso a whatsapp non c’è. Si usano per i giochi (da alternare a quelli "off-line") per ascoltare musica, vedere film/video. Poi però un giorno comincio a ricevere sul mio smartphone dei whatsapp di compagni di classe di A a grande che le scrivono: "Ciao, questo è il mio numero". All’inizio penso ad un errore. Poi mi rendo conto che no. Non è un errore. Ci sono bambini in classe di mia figlia, che dopo la comunione hanno ricevuto uno smartphone, un tablet o entrambe le cose, e con essi anche l’ambito accesso a whatsapp. Modalità "flat", "open", sempre connessa. Ottimista, penso: "Sarà un’eccezione". Ma durante l’estate scopro che no, non è un’eccezione. Più della metà dei coetanei che mia figlia frequenta regolarmente (con genitori che in molti casi sono anche nostri amici di famiglia) comunicano via whatsapp. Fanno gruppi, chattano. Per dirsi cosa? Non lo so. E nel frattempo iniziano le pressioni. "Mamma, vorrei anch’io whatsapp sul mio tablet". "Mamma, sono l’unica che non può scriversi con le amiche col tablet". Puoi essere fermamente convinta del fatto tuo, ma è comunque una lotta. Dove bisogna essere in due adulti a pensarla allo stesso modo (e fin lì ci siamo) e dove bisogna spiegare da una parte, e accettare il fatto che potrebbero non capire perché tu li costringi a questa privazione. Ricorrendo a quella parola poco amata che è "compromesso". Tipo l’email: un compromesso che ha il fascino della comunicazione online (e allora un po’ la sfanghi, con la scusa che può scrivere ai nonni, agli zii, agli altri amici che hanno un’email), ma al tempo stesso ha un minimo sindacale di tempi di attesa. Perché io penso che una delle cose che ancora per qualche anno vorrei tanto risparmiare alle mie figlie è questa: l’ossessione di azzerare i tempi di attesa. Se togli ad un bambino la capacità di tollerare dei tempi di attesa, che cosa resta?

sabato 29 agosto 2015 Dario ha scritto:

Anche su whatsapp possono essere rispettati i tempi di attesa, come ogni cosa, è imporyante capire l’uso che se ne fa

sabato 29 agosto 2015 Marta ha scritto: Verissimo. Però l’attesa di whatsapp è nevrotizzante per gli adulti, per i bambini lo è ancora di più. E poi ci sono molte altre cose per cui i bambini devono capire l’uso che se ne fa. Dovendo scegliere, per adesso, whatsapp non è tra le mie priorità. Naturalmente parlo solo di me, rispettando ogni altro punto di vista. Ho molti amici genitori che fanno usare whatsapp ai loro bimbi e rimangono assolutamente amici. Anzi, grazie mille per il commento, davvero. Un caro saluto e alla prossima!

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