Il diario

Cicala o formica

Se dovessi dire se sono più cicala o più formica direi certamente che sono più cicala.

Tendo al cazzeggio se non ho voglia di fare una cosa, tendo a fare benissimo quello che mi piace fare.

L’incubo del mago G: una moglie imprenditrice di se stessa che non imprende se non ne ha voglia.

Sempre stata così, non che me ne vanti, ma tant’è. Sono quei tratti del carattere che non si possono (e non si vogliono) correggere. Ma poi perché?

Al liceo scientifico avevo 8-9-10 in tutte le materie umanistiche, adoravo le versioni (eh sì, ero un po’ nerd ma in senso strettamente umanistico), potevano interrogarmi a sorpresa in italiano e storia che bene o male la sapevo sempre tutta. In compenso viaggiavo sulla media del 4-5 in matematica e fisica. Ed era già un gran successo. Ma non era una gran preoccupazione (a parte per i soldi spesi dalla nonna R e il nonno P in ripetizioni di matematica, con risultati deprimenti). Non mi applicavo. Punto. Non ne avevo voglia e non ne vedevo l’utilità.

All’Università mi sono iscritta a filosofia, dove ho albergato (pagante) un anno e un esame (ho preso 30). Eppure non ne vedevo il fondo, non capivo dove e come sarei finita con quella laurea lì. Poi ho bazzicato lingue per un semestre e scienze politiche per un altro semestre, andando a lezione come se la cosa in realtà non mi riguardasse.

Al terzo anno, in un moto di autocoscienza proletaria e solidale (verso i miei genitori, più che altro) sono andata da loro e ho dichiarato: inutile che continuiate a mantenermi all’Università. Voglio trovarmi una casa (nella mia testa di giovane entusiasta andava bene anche un garage) e un lavoro.

Il nonno P è diventato un uomo muto per un mese, la nonna R un’anima in pena che non aveva perso la parola ma non aveva parole per dire quello che voleva. E cioè che questa scelta non solo non la condividevano ma la consideravano il suicidio culturale della loro secondogenita. Detto ciò, non potendo portarmi all’Università con il trattamento sanitario obbligatorio, mi hanno lasciato libera. Anche se alla fine la casa non l’ho trovata. Ma il lavoro sì.

Per un anno mi sono divisa tra un baby sitting molto proficuo (di giorno) e un lavoro in gelateria (di sera). Mi si è aperto un mondo e avrei giurato di poter andare avanti così per tutta la vita. Cambiando qualora mi fossi stufata. Alla fine lo stipendio complessivo non era male. E poi quei lavori mi piacevano, moltissimo.

Un giorno, per strada, mentre andavo dalla "mia" bambina del babysitting, ho incontrato per strada mia zia che a bruciapelo mi ha detto: credi davvero di poter fare la baby sitter tutta la vita?

Da lì, non so perché, visto che prima di lei il discorso era arrivato anche dai miei, ho deciso di cercare qualcosa di più formativo. Darmi un’altra possibilità, che non fosse l’Università ma nemmeno "una coppa Kalua e un affogato al caffè, grazie" per tutta la vita.

E ho trovato grandissimo appoggio nella nonna R che, alla fine, si è arresa (con il nonno P al traino) a pagarmi una scuola triennale a Milano, con un nome molto alla moda come IED Comunicazione – specializzazione in pubblicità e copywrting. Mai scelta è stata più azzeccata, mai soldi sono stati spesi così bene. Davvero. Lo dico con il senno di poi.

Ho trovato il mio mondo e la mia dimensione e persino un lavoro che potevo dichiarare senza sentirmi rimbombare nella testa l’anatema della zia. Il mio primo lavoro serio in agenzia di Pubbliche Relazione, che non finirò mai di ringraziare per gli anni (anche dopo la fine della scuola a Milano) passati lì. Ogni mattina andavo allo IED, ogni pomeriggio dopo pranzo andavo in PR Help. E anche quando la scuola era ormai finita la mia ha continuato ad essere una splendida routine milanese il cui fascino non rinnegherò mai. Treno Pavia-Rogoredo, metro Rogoredo-Porta Romana, bar Bisa, brioche e caffè e poi in agenzia. Sommersa da giornali e faldoni di rassegne stampa di ogni tipo, mi cibavo di comunicazione a 360 gradi. Sono rinata una seconda volta.

Poi ho deciso di sposarmi e ho abbandonato la vita milanese, perché avevo in mente una famiglia e volevo che non fosse solo un proforma. Strappandomi il cuore ho salutato tutti, ho aperto partita Iva e mi sono rivolta alle pochissime realtà pavesi che allora (era il 2004) parlavano di "ufficio stampa" e "comunicazione integrata". E lì  ho trovato la Epoché. Anzi forse lei ha trovato me. Ed è lì che sono rinata la terza volta. Perché se quando andavo a Milano essere una pendolare non mi pesava affatto, quando pensavo ad un eventuale lavoro pavese me lo immaginavo in pieno centro, raggiungibile a piedi o con i mezzi pubblici o con la bicicletta, possibilmente in un edificio storico con la vista sui tetti. Ed è così che è andata. Ma non è solo questo: un ambiente di soli uomini, tre (il numero perfetto), con la voglia e la pazienza di su(o)pportare le ansie e le continue richieste di consigli di un’eterna insicura come me.

Non li ho mai più mollati la Epoché e i suoi uomini, perché, anche se le formule di collaborazione sono cambiate negli anni, a loro devo quello che sono ora. Freelance, precaria, sottopagata, sfruttata: ma giornalista, appassionata, contenta di esserlo.

In mezzo, tutto il resto, comprese un marito e due figlie. Che, fortuna per loro, stanno dalla parte giusta, quella che mi piace, un po’ come le materie umanistiche.

mercoledì 19 febbraio 2014 Chiara ha scritto:

Condivido con te la passione per le materie umanistiche pur avendo fatto (perché?? me lo chiedo ancora oggi) lo scientifico. Io dopo mi sono iscritta a Lettere, l’università mi piaceva, alla laurea sono arrivata, ma… non posso dire di avere tratto dalle mie esperienze lavorative la tua stessa soddisfazione. Complimenti! 🙂 E comunque, ho due bellissimi bimbi e la famiglia cui aspiravo quando ero una ragazzina, quindi insomma, va bene così.. per ora 😉

mercoledì 19 febbraio 2014 Grazia ha scritto: sai cosa c’è di bello? che accanto alla parola precaria tu metti appassionata… questo è un modo di porsi alla vita speciale… costruttivo…tenace… c’è da imparare!!!

mercoledì 19 febbraio 2014 Chia ha scritto: Ho scelto lo stesso percorso della mia omonima: liceo scientifico e lettere. Condivido la passione per le materie umanistiche e, purtroppo, anche le difficoltà lavorative. Il mese scorso mi è scaduto l’ennesimo contratto a tempo determinato e ho deciso di provare a dedicarmi alla mia vera passione:la cucina. Incrociate le dita per me, colleghe mamme!

mercoledì 19 febbraio 2014 Mamma ha scritto: Grazie ragazze! Che emozione tutti questi commenti! Vi siete meritate un libro, questo è poco ma sicuro! la Mamma (Marta)

giovedì 20 febbraio 2014 Cecilia Ravaioli ha scritto:

Mmmm… Qui teatrante precaria e innamorata del suo lavoro con due pargoletti! Divisa tra spettacoli, laboratori e bimbi! Sempre con un po’ di senso di colpa quando esco di casa e poi una gioia incredibile nel lavorare con i miei piccoli attori! Quest’anno vedo intorno ai 500 ragazzi tra i 3 e i 18 anni e in ogni particolare rivedo i miei ometti, come sono o potranno essere. Non son più la stessa persona… Ma ancora non so se cicala o formica! Credo di poter far così tutta la vita? Mi chiedo leggendoti… Non lo so!!!

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