Il diario

Piccione viaggiatore

Piccione viaggiatore

Essere a Milano per una riunione di lavoro in zona Ripamonti, dopo aver preso il treno e la metro con la nonna R e il nonno P, e due minuscole assonnate che andranno con loro vedere il sottomarino al Museo della Scienza e della Tecnica. Accordarsi con la nonna R affinché, quando la mia riunione sarà finita, io la possa chiamare per farmi dire dove posso raggiungerli: l’idea è quella di un pranzo, un caffè o un pasticcino, dipende da che ora si sarà fatta, prima di tornare tutti insieme a casa con il treno.

Il programma è semplice, lineare, infallibile.  Invece.

A riunione finita, chiamare la nonna R per sapere in quale parte di Milano si sono dislocati, come da accordi.

E scoprire che: la nonna R non risponde al telefono per non si sa quale motivo; il nonno P ha il telefono spento; A la grande, come del resto mi auguravo che fosse non sapendo che mi sarei trovata in questa situazione, spenta pure lei.

E così.

Trovarsi sul tram numero 24 diretta alla metro Brenta, senza nemmeno sapere in quale direzione prendere la gialla per ricongiungermi con il resto della famiglia.

Imprecare, parlare da sola, alzare gli occhi al cielo mentre cerco di farmi rispondere della nonna R che suona a vuoto perché evidentemente ha il telefono silenziato (sai, eravamo al Museo) e ovviamente non ha la vibrazione.

Bene. 

Prendere una direzione a caso (Duomo) e sperare che nel frattempo qualcuno si faccia vivo.

Alla fine la nonna R ha chiamato. Ma a quel punto ci siamo trovati in Centrale e dopo un veloce giro alla Feltrinelli siamo tornati a Pavia.

Poteva andare meglio. 

Se solo avessi avuto un piccione viaggiatore al posto di un IPhone in mano alla nonna R.

 

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